Il
fotografo Ugo Panella ospite a Caritas Insieme TV e rivista, per raccontare
il suo incontro con il dramma delle donne acidificate in Bangladesh, ci ha
offerto l’immagine di copertine/copertina. La bellezza sfregiata dalla crudeltà e dalla
follia, si trasfigura grazie alla capacità del fotografo di ridarle dignità
attraverso l’incontro personale, col linguaggio di un obiettivo.
Questa
immagine emblematica ed evocativa fa in un certo senso anche da voltapagina
per la nostra rivista che da questo numero comincia a rivedere l’impostazione
grafica. Per farlo siamo andati a rubacchiare idee dalle grandi riviste che
fanno del “bello” uno dei punti di forza, da Vogue a D La Repubblica delle
Donne, da Grazia a IO donna. Fatte le debite proporzioni –siamo coscienti
che molti chiamano ancora oggi “bollettino” le nostre 52 pagine bimestrali–,
vorremmo che i contenuti che ci stanno a cuore abbiano un involucro di classe
dove, per ridirla con il padre della comunicazione di massa McLuhan, “il media
è anche il messaggio”. Il bello è messaggio, o almeno una parte di esso. Nelle
foto straordinarie di Panella, è proprio attraverso la bellezza sofferta delle
immagini che si esprime il dramma dei volti usurpati e nello stesso tempo
tutta la forza della dignità ritrovata. Ma dove comincia il processo di cambiamento
che ferma la violenza e l’assurdo meccanismo della prevaricazione e del sopruso
nei confronti di chi è in una posizione più debole e indifesa? Per le ragazze
sfigurate dall’acido in Bangladesh questo processo è cominciato con lo scatto
della macchina fotografica di Ugo Panella ed è continuato col numero di D
La Repubblica delle Donne del 30 giugno 1998 che ha fatto partire l’azione
di solidarietà che ha poi permesso di sviluppare il progetto “Un volto per
la vita” di COOPI Cooperazione Internazionale. Panella ci diceva che normalmente
i servizi fotografici e giornalistici sui drammi sociali che si incontrano
ai quattro angoli del mondo, oppure sotto casa, procurano emozioni passeggere
che svaniscono col numero successivo della rivista che li ha pubblicati; ma
con le foto delle donne acidificate è successo qualcosa di diverso che ha
fatto scattare un movimento di sdegno e di solidarietà duraturo. Perché? Perché
forse questa storia ha toccato delle corde sensibilissime, una sorta di tabù,
quello della bellezza femminile, attaccata e distrutta secondo un rituale
scioccante e incomprensibile alle nostre latitudini.
Ma
quante altre tragedie assurde e demenziali non possono diventare oggetto della
nostra compassione e godere della nostra solidarietà? Anche se un fotografo
e una giornalista attenti e sensibili li hanno incontrati? Non vedremo mai
ad esempio le foto -perché non si riuscirà mai a scattarle- e non leggeremo
forse mai di quelle corse di cammelli dove gli animali vengono eccitati dalle
urla di bambini di pochi mesi legati sotto la pancia. Ci sono cose che superano
persino l’immaginazione ed è difficile credere davvero che si possa fare qualcosa.
Allora perché continuare a scrivere e a fare TV con Caritas Insieme? Sembrerebbe
per ingenuità, ma forse è perché siamo convinti che in qualche modo qualcosa
comincia a cambiare o si smuove, quando cerchiamo di comunicare, rendendoci
un po’ più attenti e sensibili di ieri rispetto a ciò che ci circonda. Con
questa convinzione si può anche cercare la grafica più elegante su una rivista
di moda per comunicare l’urgenza e la necessità di lottare contro i drammi
umani più atroci e disgustosi. Con questa certezza si può fare click sullo
scatto della macchina fotografica coscienti di cominciare a cambiare il mondo.